Tutto su Almodovar
08/10/2009

Melodramma: questa la parola chiave per comprendere la cinematografia di Pedro Almodovar. Dalle prime pellicole grottesche in cui si gioca sull’elemento estremo (prendiamo “Ma cosa ho fatto per meritarmi questo?” e il suo campionario di personaggi paradossali) alle commedie a intreccio costellate di coincidenze (e “Donne sull’orlo di una crisi di nervi” ne è l’esempio perfetto) fino al dolore puro di “Il fiore del mio segreto”, “Tutto su mia madre”, “Parla con lei”, “Volver” l’opera di Almodovar vibra di passionalità, che si accende nei colori, incanta con le colonne sonore e arriva ad essere traboccante fino alle lacrime.
Vedere i film di Almodovar in sequenza cronologica può rappresentare un gioco divertente per chi ama rintracciarne gli elementi ricorrenti e le ossessioni: traboccano di intrusioni televisive e assurdi intermezzi pubblicitari, di operatori telefonici e segreterie sorde ai richiami d’amore, sono percorsi da una fauna di spacciatori, prostitute, pornostar e tossici in astinenza, passano dalle sale di doppiaggio alla registrazione di video di simulazione per donatori d’organi, intrecciano amori omosessuali, si tingono di giallo per fare entrare in scena gustosissimi poliziotti come la coppia padre-figlio di “La legge del desiderio” o il Miguel Bosè di “Tacchi a spillo” travestito da Femme Létale. Ma soprattutto vibrano d’amore per il Teatro e per le donne (vittime, sole o solidali tra loro, incomprese, spesso madri forti e disperate) creando storie tutte al femminile e sostenute da attrici meravigliose come Marisa Paredes o Carmen Maura, che interpreta ugualmente un transessuale o una casalinga nevrotizzata che ammazza il marito con un osso di prosciutto, fino alla nonna fantasma di “Volver”.

E poi c’è l’abbandono, lo strazio della perdita. Lo si avverte perfino
tra le suore pervertite di un film folle e provocatorio come
“L’indiscreto fascino del peccato”, poi nella “Voce Umana” che Carmen
Maura, tradita dalla vita, interpreta a teatro in “La legge del
desiderio”, nei richiami senza risposta di “Donne sull’orlo di una
crisi di nervi”, nel lutto che grava in “Tutto su mia madre”, mentre
“Il fiore del mio segreto” accompagna gradualmente l’evolversi di una
solitudine. Lo sottolineano musiche struggenti come le canzoni “Ne me
quitte pas” e “Guarda che luna”, colonna sonora del delitto passionale
commeesso da Banderas in “La legge del desiderio”, o lo spettacolo
finale che Marisa Paredes tiene, oppressa dal rimpianto finale per la
figlia, in “Tacchi a spillo” (quanto più bello il titolo originale,
“Tajones lejanos”!) o ancora il motivo che torna nell’esibizione di
Gabriel Garcia Bernal in “La mala educacion” e il pianto sulle note di
“Cuccuruccucu Paloma” in “Parla con lei” simile alle lacrime che non si
possono trattenere quando Penelope Cruz canta in “Volver” con dolorosa
passione.
Un gioco di rimandi lo porta ad autocitarsi di continuo,
tanto che “La Mala Educacion” appare quasi uno sviluppo di “La legge
del desiderio” (il racconto come fulcro del dramma, la macchina da
scrivere come strumento per il suo sviluppo, il personaggio del regista
come protagonista e perfino la somiglianza fisica tra Eusebio Poncela e
il giovane Fele Martinez). E il gioco tra realtà e finzione come in un
continuo rimando di specchi (qual’è il vero volto di Bernal in La Mala
Educacion?) è l’essenza della sua opera, la ragione per cui la Carmen
Maura di Volver continuerà a restare un fantasma, il tema anche
dell’ultimo film che attendiamo con crescente ansia, “Gli abbracci spezzati”
e che ancora una volta ha per protagonista un regista e scrittore. E’
per questo che il Teatro ha sempre un ruolo chiave nel Cinema di
Almodovar (“La legge del desiderio”, “Tutto su mia madre”, “Tacchi a
spillo”, “La Mala Educacion”), come una costante messa in scena della
vita, o una forzata esibizione e trasfigurazione del suo ridicolo
dramma.

Esagerando, sempre. Perché è nell’esagerazione che Almodovar
trova il suo punto di forza, quando il melodramma e il grottesco si
congiungono e situazioni grondanti sensualità arrivano all’estremo
interpretate da personaggi tanto tragici quanto pazzeschi (e il periodo
più felice di Pedro Almodovar coincide appunto con il perfetto
equilibrio tra grottesco e drammatico, una fusione magica che, dopo
Matador, raggiunge il culmine con “La legge del desiderio”).
Coincidenze da “pochade” esplodono con effetti drammatici, ruotando
attorno a lettere d’amore scritte a se stessi, donne sequestrate per
passione e amanti sempre “sull’orlo di una crisi di nervi”. E quando in
“Tutto su mia madre” lascia il consueto scenario ipercolorato di Madrid
per spostarsi a Barcellona, stempera il dolore della vicenda con
l’irresistibile personaggio del travestito Agrado che “di autentico ha
solo i sentimenti e i litri di silicone”. In fondo, direbbe Almodovar,
cosa sarebbe la vita se non la enfatizzassimo interpretandola?
Gabriella Aguzzi